Detraining: le conseguenze della riduzione dell’attività fisica quotidiana

Da quasi due mesi ormai la maggior parte della popolazione italiana è chiusa entro le quattro mura domestiche, con la possibilità di uscire di casa e allontanarsi soltanto per comprovate esigenze lavorative, per poter acquistare beni di prima necessità o per motivi di salute.

Questo stop forzato è stato una scelta di responsabilità, indispensabile per salvaguardare il benessere e la salute di tutti; ma le restrizioni stanno avendo un enorme peso, non soltanto a livello psicologico, ma anche dal punto di vista fisico. Conseguenze che stanno colpendo soprattutto quelle persone che prima dell’emergenza erano fisicamente molto attive e svolgevano abitualmente attività sportiva, anche se non agonistica.

Se in questi giorni è molto in voga l’allenamento casalingo e diverse palestre, centri sportivi e professionisti del settore stanno mettendo a disposizione gratuitamente i loro programmi, rimane tuttavia evidente che, per quanto ben fatto, l’allenamento da casa non può avere la stessa efficacia di quello svolto nelle sale pesi, negli stadi o all’aria aperta. C’è inoltre da considerare che in questo momento di difficoltà, di paure e di incertezze, non tutti riescono a trovare la voglia e la motivazione per continuare ad allenarsi.

Le conseguenze del detraining

Si può quindi dire che, a livello compressivo, gli italiani stiano momentaneamente svolgendo poca attività fisica. E questo non è un bene dal momento che, come è risaputo, svolgere regolare attività fisica e cardiovascolare apporta notevoli benefici all’organismo e uno stop, anche se di poche settimane, comporta la perdita parziale o completa degli adattamenti fisiologici, anatomici e prestativi indotti dall’esercizio fisico.
Questa riduzione della quantità quotidiana di esercizio fisico viene generalmente definita detraining (deallenamento). Si assiste, in pratica, ad una regressione dei miglioramenti che riguardano la forza, la resistenza e la massa; una regressione che è direttamente proporzionale al tempo di pausa.

Evidenze scientifiche dimostrano che già dopo 2 o 4 settimane di inattività si viene incontro a una riduzione della massima capacità di svolgere attività aerobiche. Questa è innanzitutto una conseguenza della riduzione della gittata cardiaca, ossia della capacità del cuore di spingere il sangue verso i tessuti periferici. Ma il detraining causa alterazioni anche nella funzionalità e nella struttura del muscolo: la sua densità capillare, la distribuzione delle fibre muscolari, gli enzimi muscolari, la sezione trasversale, la forza e la potenza muscolare vengono influenzate negativamente. Se poi l’inattività viene prolungata di numerose settimane il muscolo può arrivare a non disporre più delle sue caratteristiche funzionali e strutturali (atrofia muscolare).

Gradualità nella ripresa

Per contrastare l’emergenza epidemiologica da coronavirus gli italiani stanno quindi rinunciando non soltanto alla libertà ma anche a tutti i numerosi benefici derivanti dall’esercizio fisico. Una situazione che potrebbe avere delle gravi conseguenze: basti pensare che, secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), uno stile di vita sedentario e la mancanza di attività fisica causano ogni anno ben 3,2 milioni di morti.

Per limitare i danni è quindi fondamentale rimanere il più possibili attivi, anche attraverso delle brevi sessioni di ginnastica dolce, e mantenere un corretto stile di vita. Al termine di questo periodo di movimento ridotto è poi importante riprendere l’attività fisica con le dovute cautele e in maniera graduale. Una regola che deve valere anche per gli atleti professionisti, perché anche loro dovranno tenere conto degli effetti del detraining.

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